Le parole tra le stanze

La clinica del mondo animale

Tempo di lettura: 3 minuti

Esiste uno spazio di pensiero e un immaginario che amo definire la clinica del mondo animale, un interstizio che separa e al contempo collega la specie umana a quella animale.

È uno posto immaginario quando collego e intravedo significati che scorrono da una parte all’altra, come fossero corsi d’acqua che si incontrano nel tempo.

Ed è un posto anche fisico fatto di ossa e di pelle che cambia, di peli che crescono o scompaiono del tutto, e di resti di code inermi, come fossero fossili, che ci ricordano il profondo legame tra esseri viventi di specie differenti.

Quando immagino il cambiamento al quale ogni essere vivente va incontro, durante la propria crescita e sviluppo, immagino questo interstizio nel quale il corpo cambia fortemente e inesorabilmente, mentre la nostra mente fatica a stargli dietro.

Lungo la nostra vita esistono diversi momenti durante i quali il nostro corpo va incontro a mutamenti fisici rilevanti, direi vitali. Uno di questi è quello che chiamo la muta dei vent’anni.

La trasformazione che avviene a questa età appare profonda e viene percepita come una tempesta perfetta in mare aperto. Può essere totalizzante tanto da non farti respirare più, da farti decidere di non alzarti più dal letto o di non uscire più dalla tua stanza.

Sono anni in cui scegli i silenzi alle parole, l’indifferenza alle emozioni che ti legano agli altri e al mondo circostante. E senti di poter stare meglio solo così o, più semplicemente, di non poterne fare a meno. Anche se, quasi mai ne comprendi a pieno le ragioni.

Un giorno conosco Marco, ha vent’anni, e il suo nome è di fantasia. È settembre, fuori ci sono ancora trentotto gradi e lui indossa un jeans e una maglietta grigia, senza alcuna stampa con loghi o scritte. Mi dice una sola cosa, quella più importante: “Sto perdendo i capelli”. Penso subito che il suo è un atto di dolore.   Quella affermazione così semplice, ma potente suona come un manifesto sulla metamorfosi, con su scritto qualcosa del genere: “Siamo in diritto di cambiare tutto e di ricominciare”. 

Passano i mesi e comincio a pensare alla muta nei rettili. A quel fenomeno biologico e naturale che costringe alcuni animali a cambiare pelle. A cominciare dalla testa fino ad arrivare alla coda.

Così cerco qualcosa da leggere sul mondo animale, è scopro che quella dei serpenti è l’unica muta visibile. Quando accade, i serpenti smettono di mangiare, diventano più aggressivi e si isolano, perché hanno bisogno di tutte le loro energie per un processo che li cambierà profondamente e per sempre.

Devono abbandonare una forma spessa, per nuove tinte di colori ed un nuovo corpo. Lo fanno per poter crescere ed evolvere, e non serve opporsi.

Ho chiesto a Marco se avesse mai pensato a tutto quanto sente e prova come ad un cambiamento, ad una muta … proprio come quella che avviene per gli animali. Una muta toccante, dolorosa, angosciante che mette a nudo la nuova pelle e la espone ancor prima che sia finita, che sia completata. 

Nel contempo, continuo la mia ricerca e scopro un sacco di altre cose.

Come ad esempio che per le lucertole, i coccodrilli e le tartarughe il processo è molto più lento e graduale, e quindi anche meno visibile.

Che il tempo della muta dei rettili dipende anche da molti fattori esterni, come le stagioni, la temperatura e l’umidità dell’ambiente circostante. Ed è per questo, che si cercano nuovi posti, luoghi umidi e con acqua.

Ed infine, che gli esemplari giovani mutano di più rispetto agli adulti.

È accaduto così che la muta di Marco ha finito col richiamare alla mente anche la mia. Quella dimenticata, fatta di viaggi lontani, di solitudine e di pesi. I pesi dei primi passi e del coraggio che serviva per compierli. Per ricercare un nuovo luogo dove poter compiere anche il mio di cambiamento.

Riflettendo sulla metamorfosi dei più giovani e sui cambiamenti dei più grandi, penso ancora oggi che quando perdiamo di vista il processo della muta, non rischiamo di perdere “soltanto i capelli”, ma la possibilità stessa di riconoscerci in quel mutamento profondo e dal quale non si torna più indietro.

Di riconoscere il nuovo corpo, le nuove parti, la nuova pelle.
E che il rischio che corriamo ogni volta, è quello di stare fermi lì, per giorni o anni, a sentire il dolore per ciò che abbiamo perso e che non possediamo più, senza poter cogliere e accogliere il senso delle possibili trasformazioni.

Con Marco ci siamo incontrati per un anno intero, durante il quale lui ha espresso sempre più il desiderio di fare un’esperienza all’estero, di partire.

E più passavano i giorni, più lui inseriva un sogno nei nostri incontri, mentre io ponevo gocce di speranza per entrambi.  Il suo dolore è sempre stato lì.  Quello non è sparito mai. Così come i suoi capelli.

Oggi lui è in Australia. E io qui, a scrivere di noi.

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Non possiedono alcuna funzione diagnostica e non possono sostituirsi a un consulto specialistico.


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