#Post: “Cose che non si raccontano”

“Cose che non si raccontano” di Antonella Lattanzi, uscito per Einaudi nel 2023,  è il libro che mi ha fatto letteralmente piangere. Me lo ricordo ancora: stavo sul lettino, in spiaggia, occhiali da sole scuri e fazzoletti improvvisati. 

Ora è di moda questa cosa che piangere in pubblico, dove per “pubblico” intendiamo su Tik Tok ovviamente, e non alla fermata del bus,  è considerato sinonimo di autenticità (fenomeno quello del “pianto online” che rientra a pieno titolo invece in una sorta di ipnosi collettiva ricercata attivamente, e per questo non meno catartica, sia chiaro), ma la verità è che ci sono alcuni dolori che nascono muti e rimangono tali.
E che la prima forma di messa in parola quando possibile (perché non sempre lo è) è proprio la scrittura.
La letteratura colma vuoti, allaccia lacerazioni interne e per questo può anche fare molto male. A volte cicatrizza.  A tratti persino salva.
“Davvero, dovrei raccontare queste cose? Queste sono cose che non si raccontano, cose assai semplici, che occorre aver vissuto in prima persona, come dice Simenon. È così sia. Io non le racconto”.

Costringersi a narrare ad alta voce quel dolore significa essere disposti a trovargli posto, una collocazione precisa e circoscritta, e senza esserne del tutto consapevoli mentre lo si fa, trasformare quel dolore pervasivo e strabordante in un placido lago interiore. Il dolore non sparisce sia chiaro, ma trova piuttosto una sua naturale collocazione. 

“Ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle , quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non lo dico non esistono”.

Leggere questo libro sarà come attraversare un vero e proprio processo catartico, e dovrebbero leggerlo tutti i padri e le madri, ma soprattutto tutti le persone che hanno dovuto trovare un modo tutto personale per diventarlo nella propria vita.