La forma delle cose / Le parole tra le stanze

Supersex (ovvero la ricerca dello sguardo materno nell’enfant prodige)

Tempo di lettura: 4 minuti

“l’uomo avrà scoperto il fuoco,

ma la donna ha scoperto come giocarci”

Carrie in Sex in the City

 

Premessa soggettiva: la ricerca dell’enfant prodige dello sguardo materno è ricerca di intimità, quella intimità che in molti chiameranno “amore” intendendo anche il sesso, e altri forse soltanto sesso, sperando di eliminare l’amore e il suo coinvolgimento. Scotomizzando l’affetto dalla sua pratica, di fatto si fa un’operazione arbitraria, quasi chirurgica su quello che per i più è un incontro intimo di soggettività.

Per questo vi dico subito che ho letto la serie tv Supersex come un tracciato dello sguardo altrui che a volte può essere molto potente nel determinare i destini, ma andiamo per ordine.

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La serie televisiva Supersex ispirata alla vera vita di Rocco Tano in arte Rocco Siffredi, evoca parecchie emozioni e ambivalenze nei sentimenti e nei rapporti. Richiama diversi temi legati all’amore, al desiderio, al sesso, al potere e alle regole che vi sottendono, alla violenza psicologica e agita, alla cultura patriarcale o matriarcale dei rapporti familiari, all’educazione sentimentale degli uomini e alla necessità di una nuova dialettica dei generi. Non è perciò facile parlarne senza rischiare di trascurare la sensibilità di ciascun*, ma penso che sia più rischioso non parlarne affatto.

Quello che ho scelto è un modo come un altro per farlo, per parlarne; non necessariamente quello più valido o esaustivo. Mi limiterò a lasciare traccia di quello che ho pensato subito dopo aver visto la serie, senza alcun intento valoriale, di mitizzazione e esaltazione o di farne un trattato clinico.

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In molti si scandalizzano perché qualcuno ha pensato di fare una serie che racconta la storia di Rocco Siffredi, noto per la sua carriera di pornodivo di successo internazionale – l’enfant prodige, appunto.

Ed io mi chiedo, perché mai non avrebbero dovuto farlo?

Tra l’altro, vi sembrerà strano, ma la serie parla di tutto, tranne che di porno e del suo ruolo nell’immaginario individuale e collettivo (purtroppo!).

Il porno scompare per lasciare spazio al dramma e ancor di più alla pornografia del sentimentalismo: l’esasperazione a tratti tenera a tratti patetica di ogni manifestazione affettiva è la cosa che può provocare più fastidio in chi guarda o assiste.

Una esasperazione che si coglie a pieno nella serie attraverso l’analisi della matrice relazionale materna, in cui ogni espressione pare cieca muta e sorda rispetto ai bisogni di un figlio. Per la verità pure in quella maschile, ma il maschile familiare (in senso affettivo) in questa narrazione appare “impotente” (penso alla figura del padre sullo sfondo), e il protagonista sembra salvare soltanto il  fratello maggiore che fortemente idealizzato, finisce per fare un pot-pourri casareccio confondendo sesso, amore, eros, sentimento, potere, possesso…prima nella mente del bambino, poi in quella dell’adolescente.

 

Ed è nello sguardo del fratello maggiore che nasce l’idea stessa di essere l’enfant prodige

e di possedere dei superpoteri utili ad evitare il dolore.

 

La narrazione cinematografica sembra richiamare perfettamente quella che potremmo chiamare l’erotizzazione della relazione col materno, in cui però l’aspetto affettivo- che passa attraverso il riconoscimento dei bisogni e delle emozioni e il poggiare lo sguardo sull’altro come fonte identitaria, viene “fatto fuori”.

Praticare sesso sul set significa quasi ricercare quell’ intimità negata nella vita.

E il far finta di amare dell’adulto-genitore della vita vera che ferisce e rende impotenti, si trasforma in un voler far sul serio del soggetto-figlio sul set, in grado di procurare dei grandi piaceri attraverso il mito dei superpoteri.  Solo in questi termini riesco a spiegarmi l’affermazione del protagonista che ad un certo punto urlerà che “si rifiuta di fare sesso per finta!”, perché lui, Rocco, “vuole fare sesso vero”. (Senza neanche scomodare antichi complessi edipici).

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Ora, si dice spesso che un grande tabù è sempre stato legato al sesso e alla libertà sessuale, sostituito con il tabù della morte nel secolo scorso- con la lenta scomparsa dei riti collettivi in una certa parte del mondo; ma forse ha più senso dire che i due temi/tabù viaggiano assieme.
I francesi chiamano l’esperienza post-orgasmica  lo svenimento, La petite mort – “la piccola morte”, a sottolineare che la liberazione della forza vitale porta con sé una quota di malinconia legata alla sua perdita, e soprattutto a evocare l’immaginario che “per morire anche in modo transitorio bisogna fidarsi di lui/lei”.

Ed è proprio Parigi il contesto alternativo a quello abruzzese dove le cose sembrano accadere e realizzarsi secondo le “proprie” regole. Dove la libertà sessuale trova il suo club.

Ricercare contesti altri per sperimentare il sentimento della fiducia e esperienze alternative a quelle familiari che finiscono per essere “salvifiche” per le persone non è una esperienza così insolita, anzi è ciò che in molti casi permette di evolvere e di emanciparsi.

Ed è quello che accade al protagonista di questa storia.

La verità è che sul sesso come sull’amore,

sulla vita e sulla morte

nessuno ha pratica di conclusioni.

Possiamo affermare con una certa sicurezza che i Superpoteri valgono solo per i personaggi della Marvel, quello sì!

Che la storia della psicoanalisi lega la potenza del sesso alla pulsione di morte e all’istanza di vita e che la pornografia ne esce come un antidoto alla propria sofferenza nel caso della serie tv, per ammissione della stessa sceneggiatrice Francesca Manieri e di Rocco Siffredi, che in un’intervista ha affermato che se non avesse fatto il pornodivo avrebbe sofferto quasi sicuramente di depressione. Tutto questo però lo sappiamo già.

Quello che mi pare veramente interessante è rileggere la serie Supersex

come un tracciato sulla potenza dello Sguardo altrui

che svela, informa, e può determinare i nostri destini.

Lo Sguardo altrui quindi come bisogno primario e dal quale se non ti emancipi nel tempo, rischi di dipendere.

Pensiamo alla ricerca infinitesimale dello sguardo materno dell’enfant prodige durante l’infanzia, a quello del fratello maggiore a partire dalla preadolescenza o di chi è disposto a pagare per guardare agire la libertà sessuale altrui e provare piacere, nella vita adulta; ma lo sguardo addosso come destino lo ritroviamo soprattutto nel personaggio di Lucia che nella serie come nella vita rappresenta il Sogno, il Desiderio, ed interpretato magnificamente da Jasmine Trinca che in un’intervista suggerisce di leggerlo proprio così:

Quando Lucia è oggetto del desiderio altrui, lo sguardo addosso è il destino dal quale emanciparsi, mentre verso la fine, dopo che un po’ di cose sono accadute o sono state dette, Lucia è capace di essere il soggetto che restituisce a Rocco alcuni sguardi mancati e fornire una maggiore comprensione sul sentire femminile e quindi anche su sé stesso, attraverso le parole.

 

“Non posso tacere

un amore che urla più del dolore

ignorare la corrente

che mi riconduce a terra.

Non posso abbracciare la salvezza,

lasciarmi accarezzare dal vento

mentre il tuo respiro s’allontana.

Uscirò in piena notte

e aspetterò

perché

non so correre ai ripari

quando piove la tua assenza”

Di Michele Gentile

(Nota in calce, la serie vanta un validissimo cast!)

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