“Io se voglio capire, trovo posto per tutti. Io non ho una testa, ho una casa di tolleranza”
Mosca-Petuskì. Poema Ferroviario, di Venedikt Erofeev
Seduta in metro su una banchina di quattro posti, siamo io e un ragazzo che tiene gli occhi chiusi e ripassa il suo saggio di danza, librando braccia e mani per aria. La musica non c’è, ma dopo un po’ che lo fisso, non è difficile sentirla. È delicato nei movimenti e completamente immerso nel suo mondo. Per lui noi non ci siamo. Tutto il resto del mondo non c’è.
Ai lati un chihuahua che abbaia contro un giovane ragazzo che avanza chiedendo soldi, con un cartello in mano e il bicchiere vuoto del Mc di qualcun altro.
Alla fermata entra un signore non vedente sulla cinquantina. “Qualcuno mi fa sedere?” Chiede a gran voce.
“Si, vieni, puoi sederti qui”. Braccio-braccio. Mano-mano. “Girati!”. “Ok, a posto!”
Siamo in tre su una panchina per quattro.
“Piacere, Flavio”. “Piacere, Imma”.
“Mamma quanto urla questo cane!”. “Si, è già da un po’ che fa così. Dove sei diretto?” Chiedo. “A casa, ho finito ora di lavorare al Teatro “Taldeiquali”, lavoro lì come centralinista”. “E ti piace?”. “Si, molto! Non ho mai amato studiare, tornassi indietro non farei il classico e nemmeno l’università. E tu che lavoro fai?”
“Terapeuta”. “Cioè sei psicologa?”, “Si, anche”. “Io ne ho conosciuto uno”.
(Eccallà) (Penso)
“E come è andata?”, “Uno stronzo…” “Perché?” “Perché non voleva venire a prendermi giù al portone per salire in studio da lui. Non compete il mio lavoro! Mi ripeteva! Tu come lo chiameresti uno così?! Cioè quando prendo un taxi …non è quello del taxi non mi apre la porta perché non è il suo lavoro! Perché non gli compete…”. “In effetti, messa giù così, non fa una piega!”.
“E per quanto tempo l’hai incontrato?” Chiedo. “Dai ventidue ai trent’anni”!. “Wow Flavio! Sono tanti anni! Non doveva essere solo stronzo sto tipo!”. “Eh, no!” (Ride).
“Ogni tanto lo mandavo al diavolo e poi tornavo dopo un po’, perché piaceva tanto ai miei”. “Chiaro”.
Nel frattempo, arriva una donna visibilmente incinta: “Posso?”. “Si! Ti fai più là Flavio? C”è una signora che vuole unirsi a noi”. “Si, certo”. Flavio si sposta. Il ballerino pure. La donna si siede.
E ora siamo in cinque su una panchina per quattro.
E mentre Flavio continua a parlare del suo terapeuta, mi accorgo che il giovane ragazzo col cappello in testa e un maglione sporco addosso, ha smesso di chiedere i soldi per sedersi proprio di fronte a noi.
Non riesce a distogliere lo sguardo da Flavio- il cinquantenne non vedente che nel frattempo racconta a gran voce tutto il resto della sua vita a me, alla donna incinta, al ragazzo ballerino, e ora pure a lui.
Lo sguardo del giovane ragazzo si fa attento. Gli occhi restano malinconici, ma lo sguardo è carico di curiosità e ammirazione. Tiene a penzoloni il suo cartello con su scritto “aiutatemi ho fame” e dopo una manciata di fermate, si prepara alla discesa senza mai distogliere, nemmeno per un secondo, lo sguardo dal mio vicino.
Un penny per i tuoi pensieri! (Penso)
Le porte si aprono, il giovane ragazzo fa per scendere, si gira e guarda un’ultima volta Flavio, e nel compiere il suo movimento scomposto gli casca tutto: il cartello, qualche spicciolo donato e il bicchiere vuoto del Mc di qualcun altro.
Nella metro come nella vita sembriamo tutte persone slegate! (Penso)
E gli incontri tra slegati, quelli li immagino proprio così:
ci si avvicina, ci si parla, ci si guarda, per lo più ci si annusa come fossimo animali di una fauna urbana, stipati in un piccolo cortile o in piccola stanza; quasi mai a parlare soltanto di noi stessi, piuttosto a parlare del mondo così come lo vediamo o come vorremmo che fosse.