Nella settimana appena trascorsa, un operatore sanitario a colloquio via Skype, mi ha parlato della sua devastazione, perché in una mattinata erano morte tre persone.
Una di queste, mossa dalla disperazione e dalla consapevolezza, le aveva chiesto: “Dica al medico che me ne voglio andare. Io non posso morire qui“.
Un messaggio lucido che ha reso la mia interlocutrice “impotente” e depositaria di un ultimo messaggio, di un desiderio:
“Io l’ho riferito ai miei colleghi, ci siamo guardati negli occhi, ma sapevamo di non poter esaudire quel suo ultimo desiderio. Nessuno ha potuto dire qualcosa…Non era in condizioni di poter uscire. Dopo un’ora e mezza è morto. Aveva scelto me per imboccarlo, diceva che sapevo farlo…”.
Sono stralci di verità che lasciano squarci e ferite, ma che ti mettono in connessione col dolore dell’altro e con il proprio. Con un’umanità che ci appartiene. Io stessa ho provato dolore e commozione. Penso che il modo migliore per rendere vivido quel desiderio sussurrato sia poterlo raccontare e condividerlo ancora.
Come in questo momento.
Mi alzo, bevo una tazza di caffè caldo, accarezzo i miei tre gatti, dedico un momento a ciascuno e mi preparo ad ascoltare ancora. E ancora. Esserci per condividere anche il dolore. Questo è quello che posso fare ora.
Per riprendere le parole di Sebastiano Zanolli: “Fare quel che si può, quando si può, con ciò che si ha è un fare responsabile”.
Imboccare
Ascoltare
Rimboccare
Raccontare
Condividere